Lunedì e martedì ho avuto la fortuna di essere nella giuria del primo hackathon organizzato dal Corriere della Sera.
Che bella esperienza!!! WOW!
Da un post intercettato per caso alla nostra collaborazione con il Corriere è bastato incontrarci una volta per dire: FATTO!
Abbiamo deciso di mettere in palio alcuni premi che potessero stuzzicare l’appetito dei giovani tecnologici (non gadget qualunque) e metterci in gioco offrendo anche posti di lavoro, soprattutto posti di lavoro.
Lunedì 7 ci troviamo verso le 10.30 e ci conosciamo meglio. La giuria è costituita da Geoff, Luca, Gianpiero, Federico e il sottoscritto; nel pomeriggio si aggiungono colleghi di Fede che danno il loro prezioso apporto.
Marco segue le operazioni a distanza perché lui deve far sì che tutto avvenga nel migliore dei modi; Marco la mattina ha una giacca di un colore, il pomeriggio di un altro; forse Marco è un trasformista.
Alle 11 arrivano i ragazzi; molti ragazzi e poche ragazze. La sala si riempie, finiscono i tavoli, finiscono le sedie, arrivano tavoli, arrivano nuove sedie. Tutti sono seduti. Si parte!
La Balivo e Parenti (due personaggi belli della televisione) rompono il ghiaccio, leggono il regolamento, salutano, buona fortuna, e via; devo dire bravi entrambi.
Squadre fatte, tutti pronti, partono i primi brief, gente seduta in terra, gente pensierosa, gente accaldata; qualcuno butta giù delle idee, qualcuno scrive sul foglio, qualcuno scrive sul pc e qualcuno non scrive, parla.
Mi trovo con i ragazzi al tavolo, sul pavimento, in piedi e mi piace stare con loro e sentire quello che hanno da dire.
Le squadre si ricompongono ai loro posti come le calamite di Jeeg robot; è quasi ora di pranzo.
Ognuno si arrangia; patatine, caramelle, pasta nel cartone, pasta nella vaschetta, pasta nello zaino.
Si torna al lavoro che non è mai smesso, si chiacchiera, si risponde a qualche timida domanda, ci si scambia sguardi con altri in giuria; si apprezzano i momenti di passione che scaldano il salone fino a far venire un caldo estivo, quasi troppo; Milano vista dalle vetrate in pieno sole è più bella del solito.
Viene sera, scendo saltuariamente nel salone al piano terra ad ascoltare interviste di personaggi più o meno noti; ministri, spettacolo, cultura, scienza. Il Pavilion è come un grande circo in legno e vetro con i suoi artisti.
Verso le 20.30 lascio l’arena soddisfatto con la voglia pazzesca di tornare il giorno dopo e non penso ai chilometri che farò.
Penso che i ragazzi non dormiranno molto e forse questo mi fa sentire bene questa volta.
La mattina riparto e torno dalle persone che la notte sono rimaste con me nel sonno; ciao come va? direi bene dai, iniziamo 🙂
Riprende tutto, ci sono tutti. La giuria è un attimo spezzettata, alcuni ragazzi sono in ritardo, l’accredito è in ritardo fisiologico, tutti hanno pazienza, tutti educati, l’imprevisto è tollerato.
Tutti ai posti via. Il clima è ottimo, i ragazzi e le poche ragazze procedono come un treno con solo carbone nelle carrozze, il traguardo è vicino. Alle 15.00 verranno eletti solo un pugno di finalisti. Tutti danno il massimo, tutti ci credono, tutti sanno che non c’è posto per tutti e tutti lo accettano con grande spirito aborigeno.
La giuria setaccia a tappetto i progetti, fa domande, si siede con i ragazzi, stringe mani, pacche sulle spalle, sorrisi, smorfie… poi ci troviamo in giuria e decidiamo.
Una sorta di riunione in piedi, con appunti; sembravamo turisti in attesa dei bagagli all’aeroporto, sembravamo persone adulte con spirito bambino; ci siamo confrontati, scontrati nell’interesse dei ragazzi; abbiamo preso una decisione concorde.
Ecco i nomi…
In sala qualche grido di gioia e qualche silenzio stizzito; nulla di che; vincere fa piacere ma perdere in un contesto simile aiuta ad essere un tutt’uno con il gruppo; mi piace lo spirito che si respira.
Un rappresentante per squadra sale sul palco a fare un pitch, la giuria prende appunti, le presentazioni a volte non rendono il valore del lavoro, la giuria si ritrova; discutiamo, decidiamo, emettiamo il verdetto finale.
Ecco i 5 finalisti…
Bello vedere le persone contente, bello vedere anche gli altri contenti il giusto.
Fra poco saremo sul palco grande per le premiazioni.
Scendiamo come i granchi rossi australiani scendono verso il mare, sappiamo dov’è la meta, non sappiamo chi incontreremo sulla strada; tutto è pronto, ultimi accorgimenti, ultimi sguardi ma niente trucco; siamo solo noi, come nella vita, a salire su un gradino di legno con fari puntati negli occhi e 200 persone che aspettano qualcosa che non sia banale come un selfie su Facebook.
Quello che possiamo darvi cari spettatori è l’umanità di un gruppo di ragazzi che in 36 ore hanno dato l’anima per portare a termine una cosa bella; quel palco era pieno di intimità umana, era pieno delle stesse cose che fanno essere felici e fanno succedere le cose anche nel lavoro di ogni giorno.
La Balivo chiama i vincitori, noi facciamo da padrini; i ragazzi sono contenti; facciamo fotografie di rito che ci ricorderanno di aver vissuto un bel momento; ci salutiamo; ci promettiamo che l’anno prossimo ci riproveremo.
Dare opportunità di lavoro a ragazzi così ti fa sentire dalla loro parte e ti fa venir voglia di conoscerli meglio e di lavorare insieme.